Poter provare gratitudine è un privilegio. Sia chiaro, la gratitudine non è qualcosa che cade dal cielo e che ti travolge solo se sei così fortunato da stazionare, in quel preciso istante, proprio lì dove sta scendendo. Quella di provare questo sentimento è, secondo me, un’attitudine che va coltivata con cura e che richiede di far coesistere dentro di sé, nello stesso momento, forza e umiltà. E sono convinta che senza gratitudine le vicende della vita abbiano la metà del loro senso originario, come se mancassero di profumi e colori o come se affrontassimo la lettura di un romanzo che narra di accadimenti senza mai soffermarsi su alcun perché. Sarebbe un esperienza vuota e inutile. Ecco perché voglio raccontare due storie di gratitudine: una di un borgo perfetto nei confronti di una drupa e l’altra dei bravi lavoratori nei confronti del proprio mestiere. Dunque vi parlerò di Castelnuovo di Farfa, il borgo che celebra, in ogni suo mattoncino, la gratitudine nei confronti dell’olivo e mi muoverò tra queste drupe guidata da Giulia, una donna che dimostra quotidianamente la sua gratitudine nei confronti del suo lavoro, studiano a fondo e con passione i processi della lavorazione dell’oliva per poter raggiungere risultati sempre migliori e poter offrire prodotti di qualità eccellente che preservino al meglio le proprietà benefiche di questa pianta.
Castelnuovo, circondato da colline coperte da migliaia di olivi da tempo immemorabile, è uno scrigno che racchiude tra le sue mura un tesoro, così come la polpa carnosa dell’olivo abbraccia il suo seme, e il tesoro di questo borgo è un museo. Non un museo qualunque, di quelli statici e polverosi, ma uno vivo e dinamico, dislocato principalmente in un antico edificio ma che si estende poi in tutto il borgo. Le bellissime opere di artisti di fama internazionale qui esposte, come quelle di Maria Lai, Hidetoshi Nagasawa e Gianandrea Gazzola, ci regalano un viaggio di immedesimazione: immaginiamo di essere un’oliva.
Si inizia attendendo silenti nell’oscurità, una tappa obbligata per poter iniziare il percorso della vita per arrivare, finalmente, alla luce del sole, incamerando i raggi di questo fino a splendere nella forma di oro liquido. Ecco il viaggio, raccontato in suoni, poesia e immagini, percorso dalla piccola oliva per divenire albero, poi di nuovo oliva e poi l’olio che regala da millenni gusto, protezione e salute. Per esplorare questo legame, basta farsi guidare da un filo dorato, un po’ come Pollicino seguiva la traccia delle briciole nel bosco oscuro. Dunque saremo presi per mano e assisteremo al dipanarsi della vita sorvegliando il viaggio di piccole imbarcazioni illuminate ad olio d’oliva che, come stelle in un cielo al contrario, vagano in una buia grotta indicando la via ad un olivo errante a testa in giù. Ascolteremo il canto dell’Oleophona, uno strumento musicale che rileva il suono dell’olio che goccia all’interno di orci antichissime e che trasforma il segnale raccolto attraverso le tracce dettate dalla lettura della superficie di un antichissimo tronco di ulivo che ruota. E usciti dal museo vero e proprio potremo visitare, trai i vicoli, il vecchio forno che conserva l’istallazione delle forme del pane e che ci ricorda “Olio al pane, alla terra il sogno”, perché il sogno è quello di riconoscenza che stiamo vivendo in questa visita e in questa vita, e che non dobbiamo mai perdere di vista.
Ma perché è così importante conoscere le piccole realtà locali di produzione dell’olio extravergine di oliva? Come saper scegliere e riconoscere un buon olio e fare una scelta sensata che non solo protegga la nostra salute, ma che aiuti anche i piccoli e medi produttori, depositari di un sapere millenario? Di questo ci parla Giulia Cappelli, giovane e bravissima assaggiatrice e sommelier dell’olio. La sua scelta di vita è stata non solo quella di lavorare nell’azienda agricola di famiglia, in Sabina, ma di andare a scoprire quali sono le nuove tecniche per produrre prodotti eccellenti e ricchi di sostanze benefiche. Anche lei ci prenderà per mano e ci trasporterà in un viaggio sconosciuto ai più, quello del vero olio extravergine di oliva, che non ha nulla a che vedere con quello che spesso così si chiama ma che in realtà deriva dal rinvenimento di una poltiglia che viaggia per lungo tempo su navi insalubri e che proviene da chissà dove.
Innanzitutto, perché un olio possa avere l’appellativo di extravergine, non solo deve essere estratto senza utilizzare solventi e avere un’acidità che non sia superiore allo 0,8%, ma deve anche rispettare alcuni parametri organolettici. Alcuni oli della grande distribuzione non potrebbero fregiarsi di questo appellativo, perché spesso “presentano difetti che non dovrebbero avere”, ci spiega Giulia. E la presenza di quei difetti indica che quel prodotto non è di qualità e per cui non proteggerà la nostra salute come dovrebbe, oltre a non esaltare a dovere i nostri piatti. Dunque cosa fa un bravo produttore per ricavare un prodotto eccellente? “Prima di tutto rispetta il prodotto appena raccolto. Le olive dovrebbero essere lavorate il prima possibile dopo la raccolta, perché un olio ottenuto da olive ammassate o in condizioni tali da aver sofferto, con un conseguente avanzamento del grado di fermentazione precedente alla frangitura, sarà un olio difettoso e che ha perso parte delle sue caratteristiche benefiche. Il difetto di questo olio viene chiamato riscaldo, oppure se la fermentazione porterà alla produzione di acido acetico, avremo un olio inacetito.” E non finisce qui. “La morchia è il difetto dato da un olio non filtrato e rimasto a lungo con i fanghi di decantazione che si depositano sul fondo del contenitore, mentre l’irrancidimento è caratteristico di un olio che non viene conservato in modo adeguato e che viene lasciato, per troppo tempo, a contatto con luce, ossigeno e calore che sono i tre principali nemici di questo prodotto.”
E se dovessimo acquistare un olio con uno o più di questi difetti? “Purtroppo questi difetti non solo rendono l’olio meno appetibile, ma sono il segno che alcune delle proprietà del prodotto sono state perse. Utilizzandolo apporteremo ai nostri piatti solo un maggior quantitativo di calorie, senza poter beneficiare delle mille sostanze che un buon olio ci regala.” E come possiamo evitare di comprare un olio difettoso? “Compriamo l’olio da produttori che conosciamo, o che impareremo a conoscere, e che ci esortino ad assaggiarlo prima dell’acquisto. Una volta acquistato, però, dovremo essere noi a prendercene cura conservandolo nel modo corretto.” Ci spiega Giulia. “Niente latte mezze vuote: una volta spillato, l’olio rimanente deve essere tempestivamente trasferito in contenitori più piccoli e scuri, che lo proteggano dal contatto con l’aria e dagli effetti della luce. Niente calore, l’olio deve essere tenuto in una credenza lontana da fornelli, caminetti e termosifoni.” Come assaggiare l’olio? E quali sostanze ci regalerà, dopo tutte le accortezze che avremo preso? Ve lo racconterò nel prossimo post dedicato all’olio, approfittando sempre dell’aiuto di Giulia. Per ora vi lascio un’ottima ricetta di crema al cioccolato e olio extravergine di oliva della Sabina. Vi assicuro che non vi pentirete di averla preparata, così come non potrete pentirvi di visitare Castelnuovo di Farfa e il suo splendido museo dell’olio.
Crema al cioccolato all’olio extravergine di oliva della Sabina
Ingredienti:
Zucchero grezzo 70 g
Nocciole intere 80 g
Cioccolato fondente a pezzetti 200 g
Olio extravergine di oliva 50 g
Procedimento:
Mettere a bagno per qualche ora 20 g di nocciole. Buttare l’acqua di ammollo e frullare finemente aggiungendo gradualmente 100 g di acqua, filtrare con un colino a maglie strette. Avrete così ottenuto il latte di nocciola. Mettere i rimanenti 80 g di nocciole nel forno a 160° per 5 minuti e, appena fredde, frullare finemente con il cioccolato e lo zucchero. Aggiungere poi il latte di nocciola, l’olio e frullare ancora. Cuocere a bagnomaria, mescolando in continuazione, per 8 minuti. Versare ancora caldo in un vasetto di vetro a chiusura ermetica. Conservare in frigorifero.
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